Ripensandoci, dopo Degustazioni dal Basso (ovvero #ddb) e Terroir Vino, non c’è più stato modo -e tempo- di tornare a parlare di Fiano di Avellino. Non che ci fosse granché bisogno, in realtà; ché negli ultimi mesi non sono certo mancati contributi di spessore sull’argomento (Luciano Pignataro – qui, Paolo De Cristofaro – qui e qui, Mauro Erro – qui).
Lo faccio adesso, a distanza di qualche tempo, avendo qualche video inedito realizzato durante le mie puntatine in terra irpina. Grazie a sta’ cosa di #ddbfiano, ho fatto i miei giretti in vigna, assaggiato tanti vini, ascoltato tante storie e – soprattutto – incontrato tante persone. Tra queste, Antoine Gaita, irpino emigrato in Belgio e poi tornato a Montefredane insieme alla moglie Diamante. Un gran personaggio: uomo di carisma e dotato della non comune capacità di non prendersi mai troppo sul serio (dico, ricordate questa clip!?).
Dici Villa Diamante e pensi immediatamente a quel piccolo appezzamento di 6 mila metri in fitto dal Comune – la Vigna della Congregazione – e al Fiano di Avellino che vi si produce. Volendo provare a tratteggiare le differenze tra le varie zone della denominazione e a dare conto delle diverse concezioni del lavoro in vigna e in cantina, scelsi (per #ddbfiano a Genova) il millesimo 2005.
Quella della Cuvée Enrico, invece, fu quasi una provocazione. A parlarci di questo particolarissimo fiano è lo stesso Antoine in questo breve video, in cui ripercorre gli anni dei primi esperimenti di vinificazione in legno (poi abbandonati) e del coraggio di tentare una strada nuova, mai percorsa prima. Cosa che, al di là di tutti i discorsi sull’opportunità o meno dell’uso dei legni (in pochi, oggi, ritengono valga la pena studiare questa possibilità), rende bene l’idea di un uomo e di un vigneron disposto a mettersi in gioco e a sperimentare. Anche sbagliando.
Quanto all’assaggio, vi lascio alle parole di Stefano Caffarri che questo vino assaggiò qualche settimana dopo Genova, durante una bicchierata milanese tra amici (grazie alla disponibilità dei produttori, bevemmo i Fiano di Avellino “avanzati” dalla degustazione di Genova – e altri, inseriti per l’occasione).
Il Fiano in ossidazione di Gaita è stato il vino che più mi ha colpito alla #ddb di Genova.
Non sarà territoriale o tradizionale però il fiano si adatta benissimo per caratterisitiche organolettiche alle mutazioni derivanti dalla scolmatura.
L’acidità vivida e l’estratto mantegono verticale e succoso il vino.
Preparate del Comtè d’etè e bonne degustation.
Felice ti sia piaciuto!
E grazie del suggerimento per l’abbinamento! 😉